29 luglio
«Oltre a vendicare gli altri, ho voluto vendicare me stesso».
Gaetano Bresci
Il 29 luglio 1900 Gaetano Bresci restituì al re Umberto I parte del piombo che questi aveva fatto riversare sulle masse affamate dei moti milanesi del maggio 1898. A comandare i cannoneggiamenti era stato Fiorenzo Bava-Beccaris, tronfio generale piemontese, che per l’eroica carneficina di un numero di dimostranti mai rivelato, ma che probabilmente si avvicinava ai trecento, venne insignito della Croce di grand’ufficiale dell’ordine militare di Savoia, «per rimeritare il servizio reso alle istituzioni e alla civiltà». Il «feroce monarchico Bava», com’era chiamato nelle canzoni, se la passò tutto sommato liscia: ottenne per nomina un seggio al senato, fece pubblicare le sue merdose memorie, appoggiò interventismo e fascismo, e morì nel suo letto a 93 anni. Ma non altrettanto bene andò al suo diretto superiore, il re, che cadde sotto le revolverate di un tessitore toscano dopo che era già scampato alle pugnalate di altri due anarchici – Giovanni Passannante, nel 1878, e Pietro Acciarito, nel 1897.
Gaetano Bresci, nato vicino a Prato nel 1869, già nel 1892 era stato condannato a 15 giorni di carcere per oltraggio e rifiuto di obbedienza alla forza pubblica. Schedato come «anarchico pericoloso», venne relegato nel 1895 al confino di Lampedusa, da cui fu amnistiato dopo la disfatta coloniale di Adua. Bresci emigrò quindi negli Stati Uniti, e precisamente a Paterson, nel New Jersey – la città della seta –, dove la comunità anarchica italiana era particolarmente vivace, numerosa, e divisa nel sostegno a due giornali contrapposti: «La Questione sociale», di tendenza organizzatrice e dal 1899 diretta da Errico Malatesta, e «L’Aurora», fondata da Giuseppe Ciancabilla, su posizioni antiorganizzatrici. Una sera del novembre 1899, durante una conferenza, Malatesta venne ferito a una gamba da un colpo di pistola sparato da un certo Passaglia, vicino, a quanto pare, al gruppo dell’«Aurora»; a disarmare l’attentatore fu lo stesso Bresci, che pure appariva fra i sottoscrittori del primo numero del giornale individualista. A ogni modo, dopo l’uccisione di Umberto I nessun anarchico, a parte i pavidi componenti di un gruppo romano, sconfessò il gesto di Bresci, e sia Ciancabilla che Malatesta furono a più riprese accusati di essere le menti che avevano armato la mano del regicida. Bresci durante il processo, e sotto le torture che l’avevano preceduto, non ammise mai l’esistenza di alcun complice.
L’opuscolo che qui riproponiamo fu pubblicato nel 1903 dall’«Aurora»-Club di Paterson, e in pochi mesi ne andarono esaurite tre edizioni. A quel punto Ciancabilla si era già dovuto allontanare da Paterson causa repressione poliziesca, ma in città erano comunque rimasti i suoi compagni. In questa ristampa abbiamo mantenuto immutate le dimensioni del libretto (incluso il corpo dei caratteri, minuscolo e di non molto agevole lettura), ma migliorato la carta, che nell’originale, per ragioni di economia, era leggerissima. L’opuscolo su cui abbiamo basato la nostra riproduzione è stato trovato fra le carte dell’anarchico individualista e editore Giuseppe Monanni (1887-1952), che visitò Paterson e la costa est degli Stati Uniti nel 1912.
La reazione dell’opinione pubblica borghese al regicidio fu particolarmente accesa; erano gli stessi «moderati», del resto, che avevano gridato ai soldati di Bava-Beccaris, da dietro le persiane, di «tirare diritto, colpire giusto». Filippo Turati, fondatore del Partito socialista, inizialmente indicato da Bresci come suo difensore, ebbe paura delle conseguenze politiche e rinunciò alla difesa, che venne assunta da Saverio Merlino – un rispettabile avvocato socialista che fino a qualche anno prima era stato fra i più ricercati malfattori anarchici. Gli atti del processo, conclusosi con la condanna all’ergastolo, si dovrebbero oggi trovare presso l’Archivio di Stato di Milano, ma non ci sono – scomparsi nel nulla.
E sono scomparsi anche gli atti relativi alla detenzione di Gaetano Bresci nel carcere di Santo Stefano, dove, secondo la versione ufficiale, si sarebbe suicidato il 22 maggio 1901. In realtà fu un omicidio di Stato, e omicidi di Stato lo sono di fatto tutte le morti nelle galere: è stato quindi automatico decidere di destinare tutti i proventi della vendita a prezzo libero di questo opuscolo alla Cassa anarchica di solidarietà anticarceraria (via dei Messapi 51, 04100 Latina; agitazione@hotmail.com).
Un ultimo pensiero, prima di chiudere, va ai cinque compagni condannati in questo luglio 2012 per la rivolta di Genova di undici anni fa. Alcuni di questi compagni hanno preso il largo, e speriamo che procedano sempre più lontano, col vento in poppa, ma Marina, che in molti avranno conosciuto, è rinchiusa nel carcere di San Vittore. Per chiunque volesse scrivergli, il suo attuale e indesiderato indirizzo è: Marina Cugnaschi, c/o Casa circondariale San Vittore, Piazza Filangieri, 2 – 20123, Milano.
luglio 2012
[nota introduttiva alla ristampa dell’opuscolo La difesa di Gaetano Bresci alla corte d’assise di Milano («Aurora»-Club, Paterson, New Jersey, 1903), diffuso la sera del 29 luglio 2012 presso il Circolo dei Malfattori (via Torricelli, 19 – Milano)]