Archive for Novembre, 2012

13 letture disordinate

sabato, Novembre 17th, 2012

dall’incontro internazionale di Zurigo

la rivolta di Milano del 1853

i paracadutisti della Folgore e lo spaccio di eroina

Victor Serge

la legge dell’Indiana che consente ai cittadini di sparrae ai poliziotti (in inglese)

il generale Merda (in francese)

anarchici in Corea (in inglese)

su Anonymous (da «A rivista»)

i fatti di Empoli (1922)

fazendeiros brasiliani nemici dei popoli originari (in portoghese)

criptoanarchismo (in inglese)

Trapwire: spionaggio informatico degli anarchici (in inglese)

i gabbiani di Genova

Considerazioni sul processo ai NO TAV

lunedì, Novembre 12th, 2012

riceviamo e diffondiamo

Non potendo partecipare di persona alle discussioni, affido a queste note le considerazioni che vorrei condividere.

Il processo ai NO TAV che comincerà il 21 novembre è un passaggio importante della lotta contro l’Alta Velocità. La repressione non può essere separata dall’insieme delle mosse politiche, mediatiche e poliziesche con cui il potere cerca di imporre la devastazione della Valsusa e di sconfiggere il movimento di resistenza e di opposizione. Di conseguenza, la solidarietà nei confronti degli imputati (e più in generale degli indagati e dei banditi dalla Valle) è allo stesso tempo un terreno della lotta e una delle sue condizioni, parte integrante della battaglia contro il TAV.

Proprio perché la questione riguarda tutti, comunico alcune mie riflessioni pur non essendo tra gli arrestati del 26 gennaio scorso.

Quello che comincia il 21 novembre è un uno dei processi più importanti contro il conflitto sociale di questo paese, perché è evidente che attraverso l’opposizione al TAV si vuole colpire ogni forma di resistenza e di autorganizzazione. Che sia una figura come Caselli il titolare dell’inchiesta è indicativo. Un magistrato di sinistra – proveniente dalle fila del vecchio PCI -, un servitore dello Stato democratico accanito come pochi altri contro la generazione che negli anni Settanta tentò l’assalto al cielo rivoluzionario. Non è certo un movimento come quello NO TAV a farsi impressionare dalle mostrine dell’«antimafia», avendo sperimentato sulla propria pelle come Stato e mafia siano in un rapporto di simbiosi mutualistica.

Questo processo ci riguarda tutti, perché, come abbiamo detto e scritto, in quei boschi, davanti a quelle recinzioni e dietro quelle barricate c’eravamo tutti. Essere o meno imputati è un fatto aleatorio (una foto, un riconoscimento reale o presunto, un casco, una felpa, un braccialetto…); ciò che non lo è sono l’orgoglio e la fierezza di partecipare a una lotta per la terra, la dignità e la libertà.

Ed è questo che dobbiamo rivendicare tutti a testa alta, con passione e senza alcun cedimento. Ai tentativi di dividerci e di metterci gli uni contro gli altri (“violenti” e “nonviolenti”, “valsusini” e “foresti”) abbiamo già risposto: «Siamo tutti black bloc».

Il movimento NO TAV ha raggiunto la consapevolezza che ciò che è giusto e ciò che è legale non coincidono; che anche noi, come altri prima di noi, lungo un crinale di bosco e di storia, dobbiamo operare una scelta: tornarcene a casa perché «è legge» (quella del più forte, del più ricco, del più armato), oppure batterci perché «è giusto» (una giustezza che ci suggeriscono sia le ragioni dell’intelletto sia quelle del cuore).

La resistenza allo sgombero dei trentasette, bellissimi giorni della Libera Repubblica della Maddalena e il tentativo di riprenderci la Clarea erano giusti. Di chi è quella mano, chi ha lanciato quel sasso ecc. sono faccende di giudici e di avvocati. Ciò che deve unire tutti, al di là delle scelte processuali, è il rifiuto di subordinare quello che riteniamo giusto al codice penale e ai tribunali. Questi fanno parte – assieme alle ruspe, al filo spinato, ai new jersey, ai Lince, alle manganellate, al CS – della macchina che vuole spianare alberi, montagne, vita.

Da questo punto di vista – autonomo, diverso, altro, nostro – non hanno ragione di esistere le polemiche rispetto alle diverse scelte processuali. Mi spiego.

Quasi tutti gli imputati – il che è già un risultato significativo – hanno rifiutato sia il patteggiamento sia il rito abbreviato. Ora, visto che il movimento ha già dato il proprio giudizio sul 27 giugno e sul 3 luglio, ricorrere o meno alla difesa tecnica non sposta il terreno del conflitto, che è la giustezza della lotta NO TAV nel suo insieme, lotta che il processo intende colpire.

Anzi, che dei compagni rifiutino di nominare un avvocato e di difendersi su questo o quell’aspetto, conferma l’alterità etica della lotta rispetto ai tribunali. Non solo si tratta di una scelta da rispettare (che i compagni sono disposti a pagare in prima persona), ma essa esprime anche la ricchezza e l’eterogeneità del movimento NO TAV: non è mai stata una “linea politica” ad unirci, ma la convergenza pratica verso una resistenza e le sue dinamiche. Se gli avvocati degli altri imputati riusciranno a smontare questo o quell’aspetto tecnico dell’accusa, ben venga. Difendersi o meno ha che fare con le diverse valutazioni che ognuno dà su rapporti di forza, agibilità, compromessi, prospettive, lotte e carcere ecc. Se è opportuno che ci sia un minimo di accordo sulla condotta pratica in aula (per evitare episodi spiacevoli di incomprensione), il terreno comune non sono le specifiche arringhe degli avvocati, ma la chiara rivendicazione della lotta NO TAV e delle sue memorabili giornate.

Forse pecco di ingenuità, ma la questione a me sembra tutta qui. Più forti saranno la mobilitazione e la solidarietà, e più difficile sarà per i giudici emettere le loro sentenze.

Ma la posta in gioco va al di là della lotta NO TAV, soprattutto se inseriamo questo processo nel suo contesto più generale.

In questa fase, nonostante i pesanti attacchi alle condizioni di vita e di lavoro di milioni di persone, l’insoddisfazione e la rabbia sembrano sorde. La collera possibile è inquinata in anticipo dai discorsi martellanti sulla legalità da contrapporre alla corruzione, con i partiti «dalla parte dei cittadini» che si fregiano di non candidare persone con precedenti penali. Se questo mette al riparo, una volta di più, il movimento NO TAV da tentazioni “politiche” (visto il gran numero di denunciati, indagati e processati al suo interno…), costituisce anche un salutarespartiacque. “Legalità” e “onestà” non coincidono affatto. Erano forse onesti i cittadini che denunciavano gli ebrei dopo le leggi razziste del 1938? Sono forse onesti i militari che sparano o bombardano in Afghanistan? È forse onesto chi lavora alla devastazione della Valsusa? E all’opposto: è stato forse disonesto tagliare filo spinato e recinzioni, abbattere muri e fari, bloccare trivelle e treni, occupare autostrade e sedi istituzionali? Non solo lo abbiamo fatto, ma lo abbiamo rivendicato apertamente. Mentre in nome della legge i potenti arraffavano, devastavano, gasavano, bastonavano.

Che un movimento di massa dica questo, oggi, è un contributo per tutte le lotte, per l’autonomia degli sfruttati dalla logica di chi è al potere (e di chi al potere vuole arrivare).

A differenza di principi e buffoni di corte, non abbiamo inquinato territori né avvelenato popolazioni, non abbiamo rubato ai poveri né falsificato bilanci, non abbiamo comprato né venduto favori nei sottoscala di un ministero. Abbiamo trasgredito le leggi, ma a modo nostro. Il senso del giusto lo custodiamo lontano dai tribunali, in luoghi che non si possono perquisire né rinchiudere: i nostri cuori.

Rovereto, 30 ottobre 2012

Massimo Passamani

link: Treni ad alta velocità, treni ad alta nocività

francesco mastrogiovanni, intollerante ai carab.

giovedì, Novembre 1st, 2012

leggiamo e diffondiamo, condividendo ogni singola parola

Ormai, tutti conoscono chi fosse Francesco Mastrogiovanni e la sua orribile morte per mano della psichiatria.
Francesco era un anarchico e questo non è stato un elemento di poca rilevanza nella sua vita e ha giocato a suo sfavore anche nella dinamica della sua morte.
Se i carabinieri ti fermano perchè vai contromano, con un po’ di fortuna, te la puoi cavare con la sospensione della patente e una multa salata. Ma quando sei un anarchico le autorità usano la mano pesante con te, non sei uno qualsiasi, sei un anarchico, una persona avversa all’autorità con o senza divisa, alle leggi con i suoi tribunali, alle istituzioni e ai suoi servi.
Intollerante ai carabinieri, così scrissero nel provvedimento di TSO che fecero a Francesco: “noto anarchico, pericoloso socialmente, intollerante ai carabinieri”.
Come tutti sanno, Francesco è stato ucciso dopo 82 ore di agonia, legato ad un letto di un reparto psichiatrico. La sua famiglia ha mosso una battaglia legale per ottenere giustizia o che, almeno, si appurassero i fatti e che venissero dati nomi e cognomi a tutti i responsabili del vile omicidio, dal sindaco che firmò il TSO, agli psichiatri che lo sedarono e ne ordinarono la contenzione, e agli infermieri che come piccoli soldatini ubbidirono agli ordini praticando materialmente il trattamento disumano del malcapitato di turno. Non so’ se sia stato dato un nome anche a quell’inserviente che si vede nel famoso video dato anche a rai 3. Una donna che stancamente, con assoluta naturalezza, passa il suo straccio sul sangue colato a terra di Francesco, formando così una copiosa chiazza di sangue sotto il lettino al quale Francesco era legato ormai morente. Puliva così il sangue di un uomo agonizzante, come se fosse una pozzanghera d’acqua, una cicca, una cartaccia. Chissà quanto sangue ha pulito nella sua carriera d’inserviente, chissà quanti, prima e dopo Mastrogiovanni, soffriranno e moriranno nell’indifferenza di tutti coloro che lavorano nei lager di Stato.
A sostegno della famiglia di Francesco si è costituito anche un comitato e varie associazioni e individui in lotta contro la psichiatria hanno dato il loro sostegno affinchè la storia di Francesco non finisse nel dimenticatoio insieme a tante altre storie analoghe.
In questi giorni, si è conclusa l’udienza di primo grado a carico dei “medici” e degli “infermieri” che hanno ucciso Francesco, sei medici sono stati condannati a pene che vanno dai 2 ai 4 anni, compreso il primario.
Gli infermieri, invece, sono stai tutti assolti. Del resto, un soldatino che esegue gli ordini è sollevato da qualsiasi responsabilità penale e persino dalla responsabilità individuale, morale e civile in quanto un soldato non è un uomo, ma un caporale, come diceva un tale mio compaesano.
I medici sono stati condannati per reato di falso (non avevano annotato sulla cartella clinica la contenzione ordinata per Francesco) sequestro di persona e omicidio colposo.
Senza voler minimizzare l’importanza ai fini della lotta contro la psichiatria la condanna che indica la contenzione come sequestro di persona, (anche se non ci sono ancora le motivazioni della sentenza), non posso fare a meno di riflettere su quanto siano fuori luogo alcune affermazioni di giubilo sui vari social network (blog e Fb) degli iscritti al comitato verità e giustizia per Francesco.
Commenti giustizialisti “pene esemplari, buttiamo la chiave, ecc” oppure quelli trionfalistici del “abbiamo ottenuto giustizia”.
I tribunali non amministrano nessuna giustizia, piuttosto, amministrano l’ingiustizia di Stato. Quello Stato che ingabbia nei reparti psichiatrici e nelle patrie galere.
Sostenitori di comitati che si fregiano di parole come Verità e Giustizia, dovrebbero conoscere bene il significato di queste parole e pertanto non utilizzarle riferite a luoghi di detenzione.
Per quale motivo la detenzione nel reparto psichiatrico è umanamente condannabile mentre,invece, è auspicabile nelle patrie galere per chiunque esso sia?
Parole come Verità e Giustizia sono insignificanti se non vengono accompagnate dall’unica parola che può darvi un senso concreto, la libertà.
Bisogna essere uomini liberi alla ricerca della propria e altrui liberazione se si vuole ottenere una Giustizia, perchè le stesse carte bollate che oggi condannano quei medici sono le stesse che hanno condannato a morte Francesco.
Della vita dell’anarchico Francesco Mastrogiovanni, non avete capito un cazzo e, disgraziatamente, nemmeno della sua morte se vi aspettate giustizia dai suoi assassini.

Un’intollerante ai carabinieri