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mercoledì, Ottobre 30th, 2013

un tutorial non troppo dettagliato su come prendere un vecchio computer, installarci sopra un’adeguata versione di Linux e renderlo funzionale agli scopi di un circolo anarchico occupato

Istantanea - 28102013 - 17:42:26

Un computer è una cosa utile in un posto appena occupato: può servire per proiettare filmati, diffondere musica, prendere appunti, fare calcoli ecc.; eventualmente pure andare su internet e scrivere mail – anche se queste ultime attività, con la diffusione di smartphone e tablet, sono quasi diventate funzioni secondarie, o quantomeno non immediatamente necessarie.
Di questi tempi procurarsi un computer non è cosa difficile, ma il nostro obiettivo è spendere meno possibile e non avere rammarichi nel caso che il fato faccia comparire omini in blu intenzionati a distruggere il disco rigido o, peggio ancora, curiosi di sapere che cosa contenga.

il catorcettominchia

Nel nostro caso, la scelta è caduta su un portatile Packard Bell EasyNote E6300 – un affare piuttosto buffo trovato a poche decine di euro su eBay, con lo schermo quasi quadrato, 1,8 Ghz di CPU e 512 MB RAM. L’anno di produzione non sono riuscito a rintracciarlo – sul sito Packard Bell non c’è più neanche la pagina del supporto -, ma date alcune caratteristiche (Windows XP Home come sistema operativo, mancanza di wi-fi, impossibilità del boot da chiavetta USB…), direi che dovrebbe avere nove-dieci anni. Date le specifiche tecniche è inimmaginabile utilizzarlo con qualsiasi versione recente di Windows, e anche il sistema operativo originario, se aggiornato con i vari service pack, è pressoché inservibile. Poco male, visto che ci piazzeremo sopra Linux, ranzando via l’orrido prodotto del capitalismo informatico paramonopolistico.

linux e vecchi computer

Installare Linux è ormai un’impresa piuttosto facile, soprattutto se si scelgono determinate distribuzioni particolarmente user-friendly (Ubuntu e derivate, Linux Mint, ecc.), che spesso, però, richiedono eccessive risorse; Lubuntu, la versione più leggera della famiglia Ubuntu, resta comunque eccessivamente pesante per i nostri scopi e, sospetto, è anche troppo recente per l’hardware che abbiamo a disposizione (la prima versione di Lubuntu è del 2009). Per fortuna le alternative abbondano, anche se magari richiedono qualche sbattimento supplementare: su Distrowatch, il sito di riferimento per la ricerca delle distro libere, la categoria «Old Computers» passa in rassegna ben venti distribuzioni adatte alla bisogna.

#!

Alla fine per una serie di considerazioni la scelta è caduta sull’ultima versione di CrunchBang Linux (Waldorf 11), rilasciata nel maggio 2013. Ecco il perché e il percome:
1. Dotazione di applicazioni minimale, ma non troppo (come sarebbe stato nel caso, per dire, di Tiny Core Linux);
2. Stabilità e repository Debian (Waldorf è basata su Debian Wheezy, la versione stabile del sistema operativo; i repository sono i «magazzini» delle applicazioni e delle librerie disponibili: quelli di Debian hanno un’eccellente varietà);
3. Appagamento estetico (che non guasta).

installazione in breve

Fatta la scelta, si tratta di andare sul sito di CrunchBang, prelevare il torrent –  nel caso specifico 32-bit non-PAE: il semplice 32 bit non funzionerebbe – e masterizzare l’immagine ISO su un DVD (con gran spreco di spazio, perché gli 800 MB della distro non ci stanno su un normale CD-ROM e purtroppo l’opzione chiavetta USB, come si è detto, non ci è permessa dalle caratteristiche hardware). L’installazione è piuttosto semplice; ho giusto voluto complicarla seguendo questa guida per il partizionamento di una LVM che, se mai ce ne sarà bisogno, ci permetterà di variare la dimensione delle partizioni (per ora, a parte la partizione di /boot – 200 MB su un file-system ext2, tanto non c’è bisogno del journaling -, ho deciso di destinare 7 GB a /, 600 MB alla swap, e i restanti 12 GB per la /home); il GRUB l’ho piazzato sul Master Boot Record (non mi diffonderò in spiegazioni su questa frase esoterica, tanto non è troppo rilevante ai fini della comprensione complessiva). In fase di installazione l’unico problema è stata la lingua: a causa di un bug non si può scegliere di installare CrunchBang direttamente in italiano, ma si deve procedere in  inglese e poi aggiustare in un secondo momento la localizzazione.

primo approccio

Terminata la procedura, al primo boot si viene accolti da uno script (cb-welcome) che, volendo, permette di aggiornare il sistema operativo e installare un po’ di software aggiuntivo non compreso nell’immagine di base (la suite LibreOffice, la gestione delle stampanti, i tool di sviluppo, Java… – a mio parere gli sviluppatori di CrunchBang avrebbero fatto bene a includere anche GIMP nello script d’avvio, così da poter far rientrare l’immagine in un CD – ma tant’è). Verifichiamo subito che CrunchBang tiene fede alla sua promessa di leggerezza: il conky in alto a destra prova che il sistema operativo di per sé occupa un centinaio di MB sui 500 che abbiamo a disposizione. L’aspetto è gradevole – sul grigio-nero: niente desktop environment succhiarisorse, solo il window manager Openbox, un pannello tint2 e un conky minimale che elenca prestazioni e scorciatoie da tastiera. Comunque è integrato anche qualche strumento di XFCE, ad esempio il gradevole sistema di notifiche e il file manager Thunar. Synaptic, il manager dei pacchetti che serve per installare nuovi programmi, al primo avvio mi ha dato un antipaticissmo messaggio di errore (Xapian::DatabaseCorruptError) – per risolverlo basta dare via terminale sudo update-apt-xapian-index. Anche il network-manager (nm-applet) e il cestino di Thunar hanno richiesto qualche smanettamento minore (in casi come questi non è difficile trovare le risposte che servono sul forum della distribuzione)

numeri e lettere

Abbiamo già detto a che cosa ci servirà questo povero computerino. La scrittura è coperta da Geany – un ottimo text editor/IDE – e, se mai si desiderasse impaginare il testo e arricchirlo di corsivi, titoli e grassetti, da Abiword; in tema di numeri, c’è una calcolatrice (galculator) e l’equivalente free software di Excel- GNUmeric. Anche la lettura dei pdf e la visualizzazione di immagini sono coperte da programmi adeguatamente leggeri.

segfault

Fin qui tutto bene. Non va affatto bene, invece, il reparto multimedia, che nella distro dovrebbe essere appannaggio di VLC. VLC leggerebbe praticamente tutti i formati video e musicali; peccato che sul nostro computer dia segmentation fault e rifiuti di partire; anche avviando da terminale (vlc -vv) non si resce bene a capire l’origine del problema (lo stesso discorso vale per SMPlayer). È probabile che esistano soluzioni più raffinate per risolvere la questione, ma per fortuna su Linux non mancano le alternative multimediali. Di conseguenza ho segato via senza rimpianti VLC, ho installato varie librerie con i rispettivi frontend e proceduto a qualche prova empirica (con i formati .mp4, .avi, .vob, .wmv, .ogv, DVD).

soluzioni multimedia

1. Gstreamer + Parole (il lettore multimediale di XFCE) funziona bene con gli .mp4, ma resta muto con .avi e DVD. Ad ogni buon conto ho tenuto programma e libreria, come eventuale terza scelta.
2. MPlayer2 + GNOME MPlayer (a dispetto del nome, il media player non si trascina dietro le pesantissime librerie di GNOME ed è basato sul kit GTK2) se la cavano molto meglio, ma falliscono disastrosamente nella riproduzione dell’audio dei DVD. Tenuti, comunque, e anzi impostati come prima scelta per i formati ben supportati e come Media Player nel menu di Openbox. Come già notato, SMPlayer, che si basa sullo stesso backend, restituisce uno sconfortante segfault. Amen.
3. xine + gxine (cioè il suo frontend gtk) se la cavano bene su tutto nonostante un aspetto un po’ vecchiotto, percepibile anche dal sito di questo motore multimediale. Alé.
4. Per la riproduzione musicale ho infine installato un player apposito – il meraviglioso DeadDBeef: a parte il nome, che risulterà sospetto ai vegani che masticano l’inglese (in realtà è un termine da geek che ricomprende tutte le lettere dalla «a» alla «f», utilizzate nella notazione esadecimale), DeadBeef è in grado di riprodurre qualunque traccia .mp3 occupando 5 MB circa di RAM. Un gioiello (c’è anche la versione Android, se a qualcuno interessasse).

l’internet

Per quanto riguarda la rete – a parte xchat e transmission-gtk (per i torrent) che immagino non saranno granché utilizzati nel contesto di una sede anarchica occupata – c’è Iceweasel, il fork Debian di Firefox, privo di limitazioni sul diritto d’autore. Mi sono limitato a impostare di default la navigazione anonima (così gli omini in blu non dovranno annoiarsi sulla nostra cache per scoprire se frequentiamo siti porno), e a installare le estensioni AdBlock e FlashBlock per alleggerire la navigazione ed evitare la pubblicità. I video in Flash non funzionavano: l’ultima versione supportata da Adobe ha un bug che riguarda certi processori antiquati, per cui ho dovuto installare una versione precedente seguendo questa guida, valida per i sistemi Debian. Ad ogni modo Flash è una schifezza che immobilizza il nostro altrimenti ragionevolmente reattivo Packard Bell; pertanto ho impostato youtube perché dia la precedenza ai video disponibili in html5.

la dock

Waldorf è belloccio – almeno secondo i miei canoni estetici – ma forse non è così intuitivo per i compagni non troppo avvezzi all’informatica; ad esempio non è visibile alcun menu, anche se per richiamarlo basta un clic destro sulllo sfondo del desktop. Ho quindi pensato di aggiungere una dock – la barra che serve per lanciare i programmi e che si vede in basso al centro. 2013-10-28--1382978599_360x69_scrotPer la solita questione della leggerezza ho scelto wbar, che si configura tramite un file di testo di semplice comprensione da nascondere nella /home (un’altra alternativa valida sarebbe potuta essere ADeskBar); ho scelto un font e un set di icone di mio gradimento (rispettivamente, LiberationSansBold con corpo 14 e delle icone Awoken Black in cui sono incappato sul forum di CrunchBang) e impostato i programmi essenziali, dandogli dei nomi generici, comprensibili a chiunque (sempre in quest’ottica ho scelto delle icone abbastanza autoesplicative anziché quelle specifiche di ciascun programma, che non sempre erano così evocative): Browser per Iceweasel, Text per Geany, Calc per galculator, Terminal per Terminator, Video 1 per GNOME-Mplayer, Video 2 per gxine, Music per DeadBeeF, Files per Thunar e Exit per cb-exit (cioè il programmino di uscita disegnato apposta per CrunchBang). Per evitare un brutto alone attorno alla dock, quando si imposta l’avvio automatico di wbar (in /home/<nomeutente>/.config/openbox/autostart) è bene ritardarlo di una decina di secondi.

ritocchi random

1. Ho aggiunto uno spazio di lavoro ai due di default, perché 3 è il numero perfetto;
2. Ho impostato le icone Faenza perché quelle di default (le stesse di GNOME) non mi piacciono proprio (un set che si adatta ai colori di CrunchBang si trova agevolmente sul forum della distribuzione);
3. Ho scelto uno sfondo adatto all’utilizzo e compatibile con il design originario (bandiera nera su sfondo grigio, e via);
4. Ho aggiornato manualmente il menu con obmenu, perché così si deve fare con Openbox; ho fatto apparire la data completa su tint2, perché preferisco così;
5. Ho eliminato la richiesta del nome utente e della password al login (per farlo si deve ricorrere a slimconf, che permette di aggiustare il display manager adottato dalla distribuzione), così i compagni non dovranno ricordarsi questi dati per utilizzare il computer (ma dovranno invece ricordarsi di non lasciarci sopra alcuna notizia sensibile);
6. Ho piazzato nella cartella Music 800 Mb di roba di mio gradimento e un film (Un posto sulla terra, Russia, 2000, con sottotitoli) in Videos;
7. Ho giochicchiato un po’ con le impostazioni della batteria (per dire, adesso basta abbassare lo schermo e il sistema si spegne; tanto è veloce a riaccendersi – giusto una ventina di secondi);
8. Ho coperto l’odioso adesivino «Designed for Windows XP» con un gatto nero della CNT francese; un altro adesivo CNT è finito sul retro, in bella vista quando si usa il computer; 2013-10-28 18.17.28
9. Per scrupolo dovrei infine verificare arandr, che permette la gestione di un secondo monitor (o del proiettore) – non l’ho ancora fatto, ma lo farò.

pirateria

Il posto che abbiamo occupato non è esattamente ben servito. Niente acqua – per ora – e niente elettricità; per evitare allacci abusivi il comune ha pensato anche di staccare i tre lampioni più vicini. Confidiamo che l’intelligenza collettiva saprà porre rimedio e per il momento andiamo avanti a taniche, batterie e generatori. Non stupirà quindi sapere che non c’è telefono né ADSL a disposizione, nonostante le promesse del sindaco sulla banda larga per le masse. In compenso nel parco circostante ci sono un bel po’ segnali forti e chiari. Il catorcetto Packard Bell di per sé non avrebbe wi-fi, ma da qualche parte ho trovato una scheda con un chipset che funziona bene su Linux (prima di acquistare questo genere di schede è sempre bene dare una controllata in rete per evitare brutte sorprese con i driver proprietari). Ora, per crackare le connessioni altrui ci sono vari strumenti alle volte un po’ complessi – come aircrack-ng, che è bene compilare da sorgenti (è anche buona abitudine patchare i driver); se inoltre il legittimo proprietario non si prende la briga di cambiare le impostazioni di base non è difficile scoprire gli algoritmi utilizzati da Fastweb e altre aziende per criptare il wi-fi. Vabbè: a buon intenditore poche parole, e la chiudiamo qui.

speranza di vita

Il nostro miserello Packard Bell mostra già una crepa sul retro dello schermo ed è già parecchio avanti con gli anni. Comunque con la nuova sistemazione potrà fare il suo, e pure la batteria – ex punto debole del kernel Linux – dura qualcosa di più dell’ora e mezzo dichiarata in origine dal produttore. Sopravviverà quel che deve sopravvivere: per il momento non possiamo che augurargli lunga vita nei suoi nuovi panni di ribelle metropolitano e resident computer di un circolo anarchico occupato. CONTRO L’OBSOLESCENZA PROGRAMMATA, PAGHEREMO POCO, RICICLEREMO TUTTO.

13 letture disordinate

sabato, Novembre 17th, 2012

dall’incontro internazionale di Zurigo

la rivolta di Milano del 1853

i paracadutisti della Folgore e lo spaccio di eroina

Victor Serge

la legge dell’Indiana che consente ai cittadini di sparrae ai poliziotti (in inglese)

il generale Merda (in francese)

anarchici in Corea (in inglese)

su Anonymous (da «A rivista»)

i fatti di Empoli (1922)

fazendeiros brasiliani nemici dei popoli originari (in portoghese)

criptoanarchismo (in inglese)

Trapwire: spionaggio informatico degli anarchici (in inglese)

i gabbiani di Genova

Considerazioni sul processo ai NO TAV

lunedì, Novembre 12th, 2012

riceviamo e diffondiamo

Non potendo partecipare di persona alle discussioni, affido a queste note le considerazioni che vorrei condividere.

Il processo ai NO TAV che comincerà il 21 novembre è un passaggio importante della lotta contro l’Alta Velocità. La repressione non può essere separata dall’insieme delle mosse politiche, mediatiche e poliziesche con cui il potere cerca di imporre la devastazione della Valsusa e di sconfiggere il movimento di resistenza e di opposizione. Di conseguenza, la solidarietà nei confronti degli imputati (e più in generale degli indagati e dei banditi dalla Valle) è allo stesso tempo un terreno della lotta e una delle sue condizioni, parte integrante della battaglia contro il TAV.

Proprio perché la questione riguarda tutti, comunico alcune mie riflessioni pur non essendo tra gli arrestati del 26 gennaio scorso.

Quello che comincia il 21 novembre è un uno dei processi più importanti contro il conflitto sociale di questo paese, perché è evidente che attraverso l’opposizione al TAV si vuole colpire ogni forma di resistenza e di autorganizzazione. Che sia una figura come Caselli il titolare dell’inchiesta è indicativo. Un magistrato di sinistra – proveniente dalle fila del vecchio PCI -, un servitore dello Stato democratico accanito come pochi altri contro la generazione che negli anni Settanta tentò l’assalto al cielo rivoluzionario. Non è certo un movimento come quello NO TAV a farsi impressionare dalle mostrine dell’«antimafia», avendo sperimentato sulla propria pelle come Stato e mafia siano in un rapporto di simbiosi mutualistica.

Questo processo ci riguarda tutti, perché, come abbiamo detto e scritto, in quei boschi, davanti a quelle recinzioni e dietro quelle barricate c’eravamo tutti. Essere o meno imputati è un fatto aleatorio (una foto, un riconoscimento reale o presunto, un casco, una felpa, un braccialetto…); ciò che non lo è sono l’orgoglio e la fierezza di partecipare a una lotta per la terra, la dignità e la libertà.

Ed è questo che dobbiamo rivendicare tutti a testa alta, con passione e senza alcun cedimento. Ai tentativi di dividerci e di metterci gli uni contro gli altri (“violenti” e “nonviolenti”, “valsusini” e “foresti”) abbiamo già risposto: «Siamo tutti black bloc».

Il movimento NO TAV ha raggiunto la consapevolezza che ciò che è giusto e ciò che è legale non coincidono; che anche noi, come altri prima di noi, lungo un crinale di bosco e di storia, dobbiamo operare una scelta: tornarcene a casa perché «è legge» (quella del più forte, del più ricco, del più armato), oppure batterci perché «è giusto» (una giustezza che ci suggeriscono sia le ragioni dell’intelletto sia quelle del cuore).

La resistenza allo sgombero dei trentasette, bellissimi giorni della Libera Repubblica della Maddalena e il tentativo di riprenderci la Clarea erano giusti. Di chi è quella mano, chi ha lanciato quel sasso ecc. sono faccende di giudici e di avvocati. Ciò che deve unire tutti, al di là delle scelte processuali, è il rifiuto di subordinare quello che riteniamo giusto al codice penale e ai tribunali. Questi fanno parte – assieme alle ruspe, al filo spinato, ai new jersey, ai Lince, alle manganellate, al CS – della macchina che vuole spianare alberi, montagne, vita.

Da questo punto di vista – autonomo, diverso, altro, nostro – non hanno ragione di esistere le polemiche rispetto alle diverse scelte processuali. Mi spiego.

Quasi tutti gli imputati – il che è già un risultato significativo – hanno rifiutato sia il patteggiamento sia il rito abbreviato. Ora, visto che il movimento ha già dato il proprio giudizio sul 27 giugno e sul 3 luglio, ricorrere o meno alla difesa tecnica non sposta il terreno del conflitto, che è la giustezza della lotta NO TAV nel suo insieme, lotta che il processo intende colpire.

Anzi, che dei compagni rifiutino di nominare un avvocato e di difendersi su questo o quell’aspetto, conferma l’alterità etica della lotta rispetto ai tribunali. Non solo si tratta di una scelta da rispettare (che i compagni sono disposti a pagare in prima persona), ma essa esprime anche la ricchezza e l’eterogeneità del movimento NO TAV: non è mai stata una “linea politica” ad unirci, ma la convergenza pratica verso una resistenza e le sue dinamiche. Se gli avvocati degli altri imputati riusciranno a smontare questo o quell’aspetto tecnico dell’accusa, ben venga. Difendersi o meno ha che fare con le diverse valutazioni che ognuno dà su rapporti di forza, agibilità, compromessi, prospettive, lotte e carcere ecc. Se è opportuno che ci sia un minimo di accordo sulla condotta pratica in aula (per evitare episodi spiacevoli di incomprensione), il terreno comune non sono le specifiche arringhe degli avvocati, ma la chiara rivendicazione della lotta NO TAV e delle sue memorabili giornate.

Forse pecco di ingenuità, ma la questione a me sembra tutta qui. Più forti saranno la mobilitazione e la solidarietà, e più difficile sarà per i giudici emettere le loro sentenze.

Ma la posta in gioco va al di là della lotta NO TAV, soprattutto se inseriamo questo processo nel suo contesto più generale.

In questa fase, nonostante i pesanti attacchi alle condizioni di vita e di lavoro di milioni di persone, l’insoddisfazione e la rabbia sembrano sorde. La collera possibile è inquinata in anticipo dai discorsi martellanti sulla legalità da contrapporre alla corruzione, con i partiti «dalla parte dei cittadini» che si fregiano di non candidare persone con precedenti penali. Se questo mette al riparo, una volta di più, il movimento NO TAV da tentazioni “politiche” (visto il gran numero di denunciati, indagati e processati al suo interno…), costituisce anche un salutarespartiacque. “Legalità” e “onestà” non coincidono affatto. Erano forse onesti i cittadini che denunciavano gli ebrei dopo le leggi razziste del 1938? Sono forse onesti i militari che sparano o bombardano in Afghanistan? È forse onesto chi lavora alla devastazione della Valsusa? E all’opposto: è stato forse disonesto tagliare filo spinato e recinzioni, abbattere muri e fari, bloccare trivelle e treni, occupare autostrade e sedi istituzionali? Non solo lo abbiamo fatto, ma lo abbiamo rivendicato apertamente. Mentre in nome della legge i potenti arraffavano, devastavano, gasavano, bastonavano.

Che un movimento di massa dica questo, oggi, è un contributo per tutte le lotte, per l’autonomia degli sfruttati dalla logica di chi è al potere (e di chi al potere vuole arrivare).

A differenza di principi e buffoni di corte, non abbiamo inquinato territori né avvelenato popolazioni, non abbiamo rubato ai poveri né falsificato bilanci, non abbiamo comprato né venduto favori nei sottoscala di un ministero. Abbiamo trasgredito le leggi, ma a modo nostro. Il senso del giusto lo custodiamo lontano dai tribunali, in luoghi che non si possono perquisire né rinchiudere: i nostri cuori.

Rovereto, 30 ottobre 2012

Massimo Passamani

link: Treni ad alta velocità, treni ad alta nocività

francesco mastrogiovanni, intollerante ai carab.

giovedì, Novembre 1st, 2012

leggiamo e diffondiamo, condividendo ogni singola parola

Ormai, tutti conoscono chi fosse Francesco Mastrogiovanni e la sua orribile morte per mano della psichiatria.
Francesco era un anarchico e questo non è stato un elemento di poca rilevanza nella sua vita e ha giocato a suo sfavore anche nella dinamica della sua morte.
Se i carabinieri ti fermano perchè vai contromano, con un po’ di fortuna, te la puoi cavare con la sospensione della patente e una multa salata. Ma quando sei un anarchico le autorità usano la mano pesante con te, non sei uno qualsiasi, sei un anarchico, una persona avversa all’autorità con o senza divisa, alle leggi con i suoi tribunali, alle istituzioni e ai suoi servi.
Intollerante ai carabinieri, così scrissero nel provvedimento di TSO che fecero a Francesco: “noto anarchico, pericoloso socialmente, intollerante ai carabinieri”.
Come tutti sanno, Francesco è stato ucciso dopo 82 ore di agonia, legato ad un letto di un reparto psichiatrico. La sua famiglia ha mosso una battaglia legale per ottenere giustizia o che, almeno, si appurassero i fatti e che venissero dati nomi e cognomi a tutti i responsabili del vile omicidio, dal sindaco che firmò il TSO, agli psichiatri che lo sedarono e ne ordinarono la contenzione, e agli infermieri che come piccoli soldatini ubbidirono agli ordini praticando materialmente il trattamento disumano del malcapitato di turno. Non so’ se sia stato dato un nome anche a quell’inserviente che si vede nel famoso video dato anche a rai 3. Una donna che stancamente, con assoluta naturalezza, passa il suo straccio sul sangue colato a terra di Francesco, formando così una copiosa chiazza di sangue sotto il lettino al quale Francesco era legato ormai morente. Puliva così il sangue di un uomo agonizzante, come se fosse una pozzanghera d’acqua, una cicca, una cartaccia. Chissà quanto sangue ha pulito nella sua carriera d’inserviente, chissà quanti, prima e dopo Mastrogiovanni, soffriranno e moriranno nell’indifferenza di tutti coloro che lavorano nei lager di Stato.
A sostegno della famiglia di Francesco si è costituito anche un comitato e varie associazioni e individui in lotta contro la psichiatria hanno dato il loro sostegno affinchè la storia di Francesco non finisse nel dimenticatoio insieme a tante altre storie analoghe.
In questi giorni, si è conclusa l’udienza di primo grado a carico dei “medici” e degli “infermieri” che hanno ucciso Francesco, sei medici sono stati condannati a pene che vanno dai 2 ai 4 anni, compreso il primario.
Gli infermieri, invece, sono stai tutti assolti. Del resto, un soldatino che esegue gli ordini è sollevato da qualsiasi responsabilità penale e persino dalla responsabilità individuale, morale e civile in quanto un soldato non è un uomo, ma un caporale, come diceva un tale mio compaesano.
I medici sono stati condannati per reato di falso (non avevano annotato sulla cartella clinica la contenzione ordinata per Francesco) sequestro di persona e omicidio colposo.
Senza voler minimizzare l’importanza ai fini della lotta contro la psichiatria la condanna che indica la contenzione come sequestro di persona, (anche se non ci sono ancora le motivazioni della sentenza), non posso fare a meno di riflettere su quanto siano fuori luogo alcune affermazioni di giubilo sui vari social network (blog e Fb) degli iscritti al comitato verità e giustizia per Francesco.
Commenti giustizialisti “pene esemplari, buttiamo la chiave, ecc” oppure quelli trionfalistici del “abbiamo ottenuto giustizia”.
I tribunali non amministrano nessuna giustizia, piuttosto, amministrano l’ingiustizia di Stato. Quello Stato che ingabbia nei reparti psichiatrici e nelle patrie galere.
Sostenitori di comitati che si fregiano di parole come Verità e Giustizia, dovrebbero conoscere bene il significato di queste parole e pertanto non utilizzarle riferite a luoghi di detenzione.
Per quale motivo la detenzione nel reparto psichiatrico è umanamente condannabile mentre,invece, è auspicabile nelle patrie galere per chiunque esso sia?
Parole come Verità e Giustizia sono insignificanti se non vengono accompagnate dall’unica parola che può darvi un senso concreto, la libertà.
Bisogna essere uomini liberi alla ricerca della propria e altrui liberazione se si vuole ottenere una Giustizia, perchè le stesse carte bollate che oggi condannano quei medici sono le stesse che hanno condannato a morte Francesco.
Della vita dell’anarchico Francesco Mastrogiovanni, non avete capito un cazzo e, disgraziatamente, nemmeno della sua morte se vi aspettate giustizia dai suoi assassini.

Un’intollerante ai carabinieri

gas

venerdì, Ottobre 26th, 2012

Tra i numerosi e interessanti documenti sbirreschi prelevati da anonymous qualche giorno fa [qui la rivendicazione e i link agli archivi] c’è anche la relazione dei poliziotti sul loro uso sconsiderato di lacrimogeni il 3 luglio 2011, nella battaglia della Maddalena contro il cantiere TAV. Ecco il testo completo regalatoci dalla questura di Torino. È una lettura istruttiva e per alcuni versi persino divertente. Non c’è bisogno di aggiungere commenti, a parte ricordare che il gas CS è vietato dalle convenzioni di guerra e che i candelotti venivano perlopiù sparati ad altezza d’uomo, come proiettili. Nella relazione, inoltre, non si fa menzione dei sassi lanciati dai tutori dell’ordine dall’alto dei cavalcavia e sulla testa dei manifestanti – ma tanto c’è un video che testimonia la condotta di questi eroi.

 

MANIFESTAZIONE NAZIONALE NO TAV DEL 3.7.2011

IMPIEGO DI ARTIFICI LACRIMOGENI E MEZZI SPECIALI

In occasione della manifestazione nazionale NO TAV di domenica 3 luglio 2011, si è reso necessario disporre il lancio di lacrimogeni e, successivamente, l’uso degli idranti in più settori di servizio per contenere e contrastare le aggressioni di antagonisti che ripetutamente, dalle 12.00 circa alle 18.30, hanno tentato di violare le recinzioni e, a tall’uopo, hanno dato luogo al lancio di oggetti contundenti ed artifizi artigianali come da atti Digos.

Da un primo conteggio, complessivamente sono stati lanciati 4357 lacrimogeni, dal seguente personale:

Polizia di Stato (solo Reparti Mobili) 2157

Carabinieri 2000

Guardia di Finanza 200

Sono stati autorizzati al lancio di acqua tre dei quattro idranti impiegati.

In sede di debriefing, è emerso che:

1. I lacrimogeni, seppur in un uso così massiccio, si sono rilevati inefficaci nell’allontanamento dei manifestanti che, respinti, ritornavano sull’area rapidamente, vuoi perché attrezzati con maschere antigas, farmaci nonchè secchi d’acqua in cui spegnere i lacrimogeni e guantoni per rilanciarli all’indirizzo del personale operante, attenuandone di fatto l’effetto, vuoi per il peculiare contesto boschivo, ricco di vegetazione ed infine per le condizioni del vento, non sempre a favore.

2. Al contempo sono stati significativi gli effetti nefasti dei lacrimogeni sul personale, peraltro affaticato nella respirazione già accelerata dalla corsa e complicata dall’uso delle maschere anti gas, rese altresì permeabili dal sudore, i cui filtri sono stati messi a dura prova dalla lunghezza dell’esposizione (6 ore di scontri, pressoché continuativi). Frequentissimi gli episodi di vomito, irritazione cutanea, intossicazione, stato confusionale transitorio, cui si è fatto fronte con il presidio ospedaliero dei medici di Polizia presenti sul posto e supportati dal 118.

Va dato atto che, in questo contesto ambientale ostile ha inciso, negativamente ma inevitabilmente, la contiguità della recinzione con un’area archeologica su cui la Sovrintendenza ai beni culturali non aveva consentito, per la ristrettezza dei tempi tecnici e per la sussistenza di vincoli preesistenti, un adeguato rafforzamento delle recinzioni o, ancora meglio, un’annessione all’area di sicurezza del cantiere. Questo ha determinato l’impossibilità oggettiva di disporre di un’area di manovra adeguata in cui muovere mezzi e reparti alle spalle del museo vicino al punto di arrivo dei sentieri boschivi di Ramat. In fase operativa, in emergenza, l’area è stata poi occupata parzialmente da mezzi e personale, con conseguenti danni a quel patrimonio (1).

* Gli idranti – della cui ultima data di impiego in questa provincia non si ha memoria – fatto salvo in un settore di impiego favorevole per la dislocazione, non hanno sortito l’effetto deterrente sperato, essenzialmente a causa dell’indebolimento del getto causato dalla vegetazione in cui si riparavano i manifestanti e dalla posizione svantaggiata dal basso verso l’alto in cui erano posizionati. Né si sarebbe potuto dislocarli diversamente, se non nell’area del cantiere basso, dove effettivamente l’idrante ha contribuito ad allontanare alcuni gruppi. Peraltro lo svuotamento degli idranti avveniva in soli 6 minuti ed i tempi di ricarica erano estremamente lunghi e le operazioni piuttosto complesse, per cui in più occasioni si è dovuto unire più manichette per coprire i 60/70 metri necessari per raggiungere la bocchetta dell’acqua che giungeva ad una pressione non sempre adeguata.

* Il parabrezza non protetto e la carrozzeria seppur pesante di alcuni idranti hanno subito severi danneggiamenti a causa del lancio continuo di pietre.

* Gli alari sono stati impiegati solo sull’autostrada per creare sbarramenti ad eventuali mezzi e gruppi organizzati, sia sul viadotto che all’imbocco delle gallerie. Per le loro caratteristiche non era possibile impiegarli per creare sbarramenti volanti nelle aree boschive, vista la loro impervietà.

* Come già anticipato nei giorni precedenti l’intervento del 27 giugno u.sc., non sono state utilizzate le ruspe della Polizia di Stato, poiché di potenza e capacità inadeguate a rimuovere le ostruzioni e le barricate realizzate sul percorso dai manifestanti, bensì sono stati efficacemente impiegati mezzi d’opera cingolati con escavatore (tipo Caterpillar D6) manovrati da personale della Polizia di Stato a ciò addestrato a cura delle ditte appaltanti.

* Il contributo di detti manovratori (del Reparto Mobile di Roma) è stato assolutamente determinante, per l’eccellente professionalità specifica dimostrata e per la capacità di operare per primi, in apertura davanti alle colonne di personale appiedato, in contesti assolutamente ostili sia la mattina del 27 (intervento su oltre 10 barricate molto strutturate per circa un’ora e mezza senza soluzione di continuità lungo un percorso di almeno 3 Km presidiato dai manifestanti), sia nel pomeriggio del 3 luglio, ove il mezzo ha aperto in pochi minuti un varco verso l’area archeologica limitrofa al bosco e ha offerto un adeguato riparo al personale inquadrato.

* L’equipaggiamento in dotazione, scudi tondi, scudi quadri e protezioni per arti inferiori e superiori, in uso al personale più esposto ha subito severi danni a causa del lancio di pietre, bulloni e biglie, avvenuto anche con fionde e frondole, cui non sempre ha resistito. Mentre, gli U-bot sono stati resi in taluni casi (2) inservibili a causa del lancio di vernice colorata che ha accecato le visiere trasparenti.

* Tutto ciò premesso, sarebbe auspicabile, in scenari estremi come quelli affrontati, poter disporre di mezzi più risolutivi per mantenere distanze adeguate tra gli sbarramenti di polizia ed i manifestanti, strumenti efficaci ai fini di una reale deterrenza, ma che non abbiano effetti di depotenziamento fisico e cognitivo (connessi all’uso prolungato della maschera anti gas e al parziale deficit di ossigenazione) e di comparsa di effetti collaterali connessi all’inspirazione seppur parziale degli agenti chimici dei lacrimogeni (irritazione cutanea, nausea, vomito).

Vanno poi rimarcate le difficoltà di comunicazione che incontra il personale già pesantemente equipaggiato per l’o.p., dotato di casco e di maschera antigas. Diminuiscono la percezione dell’ambiente esterno, degli ordini impartiti, l’ampiezza del campo visivo, nonchè la capacità di esprimersi agevolmente via radio.

Va invece sottolineato che il vero valore aggiunto che ha consentito il governo e la tenuta dei reparti in situazioni di servizio estreme e per un tempo così prolungato, pur in presenza di un elevato numero di feriti, che venivano di volta in volta allontanati sotto gli occhi e con l’aiuto dei colleghi che stavano ingaggiando con gli antagonisti, è assolutamente riferibile alla presenza sul campo dei dirigenti e dei funzionari dei Reparti Mobili operanti e degli Ufficiali dei vari comandi, coinvolti sin dall’inizio in una puntuale attività di briefing e sopraluogo, tutti perfettamente consapevoli del teatro operativo e delle sue insidie, che si sono mossi in perfetta sintonia con gli ottimi Dirigenti e funzionari responsabili dei servizi. La condivisione degli obiettivi e l’affiatamento operativo che si è creato tra i diversi gruppi di lavoro già nei giorni precedenti l’intervento sono stati decisivi sul piano attuativo.

Torino, 6 luglio 2011

1)  A seguito del sopraluogo effettuato con la Sovrintendenza dopo i disordini del 3 luglio, è stata trovata una nuova intesa per la messa in sicurezza dell’area archeologica e per il rafforzamento della relativa recinzione, che sarà avviato nei prossimi giorni con il concorso di LTF.

2)  Laddove parte del personale, specie della Questura; non era dotato della doppia pellicola protettiva per la visiera dell’U – Boot.

 

il mondo in due righe

venerdì, Ottobre 26th, 2012

Quest’estate diversi compagni hanno subito le indesiderate attenzioni dei repressori, con le operazioni Ardire (13 giugno), Mangiafuoco (8 agosto), Ixodidae (27 agosto) e Thor (1 settembre). Ci sono poi i cinque condannati in via definitiva per i fatti di Genova del 2001 e Gai e Cospito, arrestati a Torino per l’azzoppamento  del dirigente Ansaldo. Qui trovate l’elenco aggiornato dei compagni attualmente sequestrati dallo stato italiano e i dati della cassa di solidarietà.

Fra i numerosi compagni in galera, c’è anche Massimo Passamani, di Rovereto, arrestato nell’ambito di un’operazione chiamata «Zecche dure» (in latino però, perché alla questura di Trento sono stupidi e fascisti, ma le ricerche su Wikipedia le sanno fare). Registriamo come in tempi di crisi e di debito pubblico galoppante, lo stato vanti per quest’azione repressiva il dispiegamento di un apparato di controllo abnorme: «150.000 intercettazioni telefoniche, 10.000 ambientali, 12.000 foto e 100.000 ore spese ad osservare video e controllare GPS».

Pubblichiamo di seguito una lettera di Massimo dal carcere.

IL MONDO IN DUE RIGHE

A volte, certi episodi minuti hanno per noi la forza di una metafora sul mondo.
Nei giorni scorsi ho ricevuto molti telegrammi, sia di compagni sia di altri che compagni non sono o non si definiscono. Poche righe, come la forma impone, generalmente due.
Eppure in quelle righe c’è un mondo, il nostro mondo. Parole di libertà, di solidarietà, di sogno, di ironia, di amore. Parole che rincuorano, fanno ridere, commuovono. Parole magiche, perché rendono presente l’assenza. Alludono alle lotte, a galere che saltano in aria, ad affetti che non si spezzano; alla vita per cui ci battiamo.
Una sera, in isolamento, sentiamo i detenuti delle altre sezioni battere sulle sbarre e urlare – le urla di sempre, “libertà”, “amnistia”…
Anche noi, pochi, decidiamo di unirci alla battitura. E’ il minimo. E urliamo non solo la libertà, ma anche il nome di un ragazzo, a noi sconosciuto, morto il giorno stesso, impiccato in un carcere a una quarantina di chilometri da quello in cui siamo rinchiusi.
Dopo un po’, arriva la guardia e ci dice semplicemente: “Adesso scrivo due righe!!” “Due righe”, nel gergo del secondino, significano un rapporto disciplinare. Anche quelle due righe, così come i telegrammi, contengono un mondo intero. Di meschinità, di servilismo, di potere. Con due semplici righe, una prigionia si può allungare. Ed è in fondo poca cosa. Ma con due righe altre vite vengono spezzate. Degli individui, in altre parti della città e del mondo, vengono espulsi, cacciati, cancellati, condannati a morte. In altre epoche, finivano in una nuvola di gas, o sotto la neve, o davanti a un plotone di esecuzione, o su isole lontane.
Ripeto mentalmente qualche frase dei telegrammi, e penso che aveva proprio ragione Stig Dagerman: “Chi costruisce prigioni si esprime sempre meno bene di chi costruisce la libertà”. Poi torno a battere e a urlare, assieme ai miei fratelli.

Massimo
(scritto nel carcere di Tolmezzo il 30 agosto 2012)

 

archivi di incubAzione

giovedì, Ottobre 18th, 2012

[Aggiornamento: incubAzione, nella sua quarta riunione del 24 ottobre u.s., ha deciso l’adesione alla Federazione informale Cineforum autogestiti (F.i.C.a.), in cui è confluito anche il Collettivo cinefilo Mandragola. Seguiranno aggiornamenti e succulente novità]

birri, sicofanti e questurini a Milano

domenica, Settembre 9th, 2012
riceviamo e pubblichiamo:
Quando una sfiga si trasforma in una sgradita sorpresa dal sapor di riscatto
ovvero, mai dubitar della complicità di un chiodo
Qualche giorno fa me ne andavo in giro con il mio Vespone PX200 quando un chiodo decide d’ingropparsi un pneumatico.
‘azz, che sfortuna, e mi accingo a sostituire la ruota sfinita con quella di scorta.
Smonto il paracolpi laterale, smonto il “polmone” sinistro, tolgo la ruota di scorta dal suo supporto e…ma…ma…ma cosa sono quei fili lì? Perché terminano dietro il supporto della ruota di scorta? Oh, ma cos’è quell’affare nero tutto nastrato? Vuoi vedere che….ma no, però, forse-ma-forse… eh sì, diomerda, è una antenna per Gps con vicino una bacchetta che dev’essere un’altra antenna, entrambi calamitati con potenti magneti proprio in un angolo buio dietro il supporto della ruota di scorta, verso il basso
(1-2 foto 1).
I due fili entrano nel vano dove è montato il serbatoio, ed io voglio vedere cos’altro mi riserva questa giornata.
Smonto la sella, smonto il porta-bauletto, smonto il serbatoio e vedo in fondo una basetta nera in plastica (serve a non far cadere la benzina qual’ora dovesse perdere il rubinetto), la sollevo e trovo una matassa di fili neri in parte nastrati. Inizio a tirarli ma fanno resistenza, allora infilo la mano, frugo e…ohhh…gaudio…quanta roba, dal piccolo vano che appare (foto 2) escono un trasformatore con accumulatore (3foto 3) e un trasmettitore Gsm con scheda Sim mod. “Telit GM862-GPS” (4 foto 4) dal quale partono tre cavetti: due sono le antenne di cui sopra (1 e 2), l’altro è un filo che non riesco a tirare via…ma dove và?
Inizio a smontare un po’ tutto, per ultimo smonto la mascherina frontale dove è inserito il “clacson” (foto 5), ecco, dietro di questo, un po’ incastrato c’era il terminale del filo…un microfonino piccolo-piccolo (5).
Sfilo il tutto e per ultimo taglio i cavi collegati all’alimentazione del Vespone, nel vano che contiene il serbatoio.
Tutti gli oggetti avevano nastrati dei potenti magneti che li ancoravano al telaio.
A questo punto rimonto lo smontato, sostituisco il pneumatico e vado da un gommista per la riparazione. Dopo di che faccio delle foto a il tutto (foto 6) e lo distruggo…sì, a martellate…era sul mio Vespone quindi è come se fosse roba mia, e io lo rompo. Ma la scheda Sim no, quella me la tengo e ci faccio telefonate a raffica…così… a spregio…finché dura, merde!
Per chi non conosce questa moto spiego che essa è priva di batteria (è un modello dei primi anni ’80 che ho acquistato nel 2004) e il motore genera una corrente alternata non adatta ai trasmettitori Gsm, da qui la necessità, per un corretto funzionamento, di un trasformatore in corrente continua e di un accumulatore che garantisca il funzionamento di tutto l’apparato anche quando il Vespone non è in moto. E adesso è tutto spappolato…
 
Secondo il mio modesto parere, un simile lavoro necessità di molto tempo e tranquillità (anche per un’esperto) e, probabilmente, anche del complice silenzio di qualcuno. Considerata la cura e la precisione nel montaggio/cablaggio penso che ci abbiano impiegato almeno tre ore.
La scheda Sim-business è stata attivata il 14/06/2005 da un’azienda ignota.
Considerate le rare volte che ho forato in questi anni e che non mi sono mai accorto dei succitati optional, sono propenso a far risalire l’installazione a non prima dell’anno 2010. E’ probabile che questa scheda Sim, in precedenza, abbia spiato i percorsi di altri/e attenzionati/e.
Che dire, ai compagni e compagne: non dare mai nulla per scontato.
Ai birri: non dare mai nulla per scontato.
                                                                                                                                                                                                              Antonio
05/09/2012
 

 

Per gli appassionati:

ciau

domenica, Settembre 2nd, 2012

Ecco Nicolae Ceaușescu – giovane, belloccio, sovversivo e di tante speranze. Qui ha diciotto anni, e seconda la sbirraglia romena è un «pericoloso agitatore comunista». Siamo nel 1938, quando viene condannato a due anni di carcere per «attività antifascista». In galera condividerà la cella con Gheorghe Gheorghiu-Dej, capo dei comunisti romeni, di cui diventerà il protetto. Da allora, farà molta carriera, e diventerà da carcerato carceriere.

Nel 1965 sostituirà il suo patrono alla guida della repubblica socialista romena. Presso le diplomazie occidentali si farà fama di comunista «moderno», perché decise di non partecipare all’invasione della Cecoslovacchia del 1968 e perché andò in visita in paesi come la Francia o la Spagna franchista. In realtà la sua Romania si distinse, fra gli altri regimi socialisti, per l’abolizione dell’aborto, la repressione delle minoranze (specie magiara) e un nazionalismo spinto che lo fece diventare l’idolo di Jean Thiriart e dei nazionalbolscevichi (cioè dei rossobruni, i nazisti in salsa rossa). Per venire incontro a questi suoi nuovi fans occidentali, Nicolae a un certo punto riabilitò persino la figura di Ion Antonescu, il dittatore filofascista alleato con Hitler nella seconda guerra mondiale.

Ceaușescu era alto poco più di uno e sessanta, e di questo soffriva molto: diversi operatori della tv romena hanno passato dei brutti momenti per la loro sciatteria – e sotto questo aspetto il nostro buon Nicolae aveva gli stessi problemi di altri nanetti celebri come Kylie Minogue e Prince. Rimase comunque molto affezionato al culto stalinista della personalità e aveva piacere a farsi chiamare «il Genio dei Carpazi» oppure «Conducător» (che vuol dire, né più né meno, «Duce» o «Führer»). La sua particolare visione marxista-leninista è stata definita «socialismo in una sola famiglia», vista la sua propensione al nepotismo.

Il Genio dei Carpazi è stato fucilato nel dicembre 1989 insieme alla moglie Elena. È stato l’unico capo comunista europeo a finire al muro fra il 1989 e il 1991 – in compenso tutti quelli che hanno pensato di farsi chiamare Duce hanno fatto più o meno quella fine. Peccato, prometteva così bene, nel 1938. Sic transit gloria mundi.

internazionale

sabato, Settembre 1st, 2012

iniziative europee dell’autunno 2012

Tattoo Circus
Berlino (Germania)
7-8-9 settembre
tatuaggi, piercing, spettacoli, concerti, cibo, cinema. ingresso libero
festival autorganizzato contro la repressione e in sostegno dei prigionieri politici. benefite per la Croce Nera Anarchica di Berlino
www.abc-berlin.net/tattoo-circus-kommt-in-die-stadt
www.tattoocircus.freak-animals.org
tattoocircus-berlin@riseup.net

La guerra comincia qui. Campo antimilitarista internazionale
GÜZ-Altmark (Sassonia-Anhalt, Germania)
12-13-14-15-16-17 settembre
dibattiti e azioni contro il centro di addestramento al combattimento della Bundeswher e della NATO. il 15 settembre è il «giorno dell’azione»
www.warstartsherecamp.org/it/appello-la-guerra-comincia-qui (pdf in italiano)

Seminari sulla crisi e sulla teoria della liberazione dal dominio
Saasen (Assia, Germania)
21-22-23 settembre
Berlino (Germania)
19-20-21 ottobre
teorie e prassi di liberazione. convegni e workshop
herrschaftsfrei.de.vu
www.kubiz-wallenberg.de
www.projektwerkstatt.de
tagungshaus@projektwerkstatt.de

Rientro libertario 2012
Besançon (Francia)
22-24-26-27-28-30 settembre
per un ritorno in scerna ludico e sociale. aperitivi, dibattiti, proiezioni, concerti. organizzano: Libraire l’Autodidacte, CNT 25, Groupe Proudhon della FAF, SCALP Besak, Resto Trottoir (Food not Bombs)
scalpbesak.wordpress.com
cntbesancon.wordpress.com
groupe.proudhon-fa.over-blog.com

Le cucine della rivoluzione. Convegno internazionale
Massenzatico (Reggio Emilia, Italia)
5-6-7 ottobre
500 piatti di cappelletti, 1000 bottiglie di lambrusco: la rivoluzione sarà un pranzo di gala. il 13-14-15 ottobre si vendemmia
www.cucinedelpopolo.org
cucine@arealibertaria.org

Chaostage (Giorni del caos)
Karlsruhe (Germania)
10-11-12-13-14 ottobre
rabbia e crisi. riot urbano
http://kaos10.noblogs.org/
kaos10@autistici.org

Fiera del libro anarchico
Londra (Regno Unito)
27 ottobre
libri, pamphlet, riviste, incontri, film, discussioni, ecc. ecc.
www.anarchistbookfair.org.uk
mail@anarchistbookfair.org.uk