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Ecco Nicolae Ceaușescu – giovane, belloccio, sovversivo e di tante speranze. Qui ha diciotto anni, e seconda la sbirraglia romena è un «pericoloso agitatore comunista». Siamo nel 1938, quando viene condannato a due anni di carcere per «attività antifascista». In galera condividerà la cella con Gheorghe Gheorghiu-Dej, capo dei comunisti romeni, di cui diventerà il protetto. Da allora, farà molta carriera, e diventerà da carcerato carceriere.

Nel 1965 sostituirà il suo patrono alla guida della repubblica socialista romena. Presso le diplomazie occidentali si farà fama di comunista «moderno», perché decise di non partecipare all’invasione della Cecoslovacchia del 1968 e perché andò in visita in paesi come la Francia o la Spagna franchista. In realtà la sua Romania si distinse, fra gli altri regimi socialisti, per l’abolizione dell’aborto, la repressione delle minoranze (specie magiara) e un nazionalismo spinto che lo fece diventare l’idolo di Jean Thiriart e dei nazionalbolscevichi (cioè dei rossobruni, i nazisti in salsa rossa). Per venire incontro a questi suoi nuovi fans occidentali, Nicolae a un certo punto riabilitò persino la figura di Ion Antonescu, il dittatore filofascista alleato con Hitler nella seconda guerra mondiale.

Ceaușescu era alto poco più di uno e sessanta, e di questo soffriva molto: diversi operatori della tv romena hanno passato dei brutti momenti per la loro sciatteria – e sotto questo aspetto il nostro buon Nicolae aveva gli stessi problemi di altri nanetti celebri come Kylie Minogue e Prince. Rimase comunque molto affezionato al culto stalinista della personalità e aveva piacere a farsi chiamare «il Genio dei Carpazi» oppure «Conducător» (che vuol dire, né più né meno, «Duce» o «Führer»). La sua particolare visione marxista-leninista è stata definita «socialismo in una sola famiglia», vista la sua propensione al nepotismo.

Il Genio dei Carpazi è stato fucilato nel dicembre 1989 insieme alla moglie Elena. È stato l’unico capo comunista europeo a finire al muro fra il 1989 e il 1991 – in compenso tutti quelli che hanno pensato di farsi chiamare Duce hanno fatto più o meno quella fine. Peccato, prometteva così bene, nel 1938. Sic transit gloria mundi.

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