Marina

Settembre 1st, 2012 by acrata

La compagna Marina Cugnaschi ha bisogno del nostro sostegno e del nostro affetto. La vita carceraria, come quella di fuori, è molto cara.

Se frequenti un gruppo politico, se hai una band musicale, se vivi o frequenti centri sociali o case occupate, organizzati con i tuoi compagni e compagne per creare un evento benefit a sostegno di Marina.

Per inviarle lettere e cartoline :
Marina Cugnaschi, c/o Carcere di San Vittore, via Filangieri 2, 20123, Milano

Aggiornamento

Marina dal 10 settembre è stata trasferita. Il nuovo indirizzo è:
Marina Cugnaschi, c/o Casa di reclusione Di Milano-Bollate, via Cristina Belgioioso 120, 20157, Bollate (MI)

Sostegno spese carcerarie e detenzione di Marina Cugnaschi:
CODICE IBAN IT04U0100501660000000000594
intestato a Valli Massimiliano

Dichiarazione in aula di Marina prima della condanna definitiva a 11 anni per i fatti del luglio 2001. Il confronto con le ridicole pene inflitte ai massacratori della Diaz e di Bolzaneto (tutte già cadute in prescrizione) non merita commento.

«Premetto che in quanto anarchica non riconosco come mio interlocutore l’apparato giudiziario, organo dello stato la cui unica funzione consiste nell’essenziale protezione delle classi sociali privilegiate e nella difesa della proprietà privata. Quindi, con la seguente dichiarazione, principalmente indirizzata all’esterno di questo edificio, colgo l’occasione per rivolgermi a tutti coloro che possiedono i requisiti per poter comprendere le mie parole. Desidero rivolgermi alle classi subalterne, a coloro che subiscono la condizione alienante di sfruttati e oppressi dall’avanzato e moderno sistema capitalista, sempre più spietato ed escludente. Premetto altresì che nulla ho da chiarire circa la mia condotta, le mie convinzioni e le mie scelte politiche, tanto meno intendo chiedere clemenza ai signori della corte. La natura squisitamente politica di questo procedimento penale impone una netta presa di posizione, alla luce soprattutto degli innumerevoli tentativi da parte della magistratura e della stampa di screditare e spoliticizzare davanti all’opinione pubblica gli imputati di questo processo. Soggetti che loro malgrado sono incappati negli ingranaggi della giustizia borghese e fatti figurare in certi casi come un branco di violenti teppisti, in altri come un’orda di barbari scesi nelle strade di Genova con il preciso intento di devastarla e saccheggiarla. No signori, intanto l’accusa di devastazione e saccheggio la rinvio direttamente al mittente poiché offensiva e poiché non fa parte del mio bagaglio storico politico. La classe sociale a cui appartengo è colma fino all’orlo di ingiustizie, soprusi e umiliazioni inflitte dai padroni. Ed è proprio nel santuario della democratica inquisizione dove viene sistematicamente perpetuata l’ingiustizia sociale, in cui tengo a precisare e ribadire la mia ferma opposizione ad ogni forma di dominio, all’ineguaglianza sociale, allo sfruttamento. E seppur cosciente che come nemica della vostra classe mi si infliggerà una pena severa poiché portatrice di principi malsani assolutamente in contrasto con l’ordine costituito, vi comunico che personalmente come lavoratrice salariata ho avuto modo di conoscere i veri devastatori e saccheggiatori. Risiedono nei palazzi di lusso o del potere, sono i padroni, i capi di stato, insomma tutta la classe dirigente di questo sistema infame. Un’esigua percentuale di individui su questa terra che in nome del profitto, del prestigio e del potere assoluto depredano e saccheggiano l’intero pianeta. Costringono alla fame ed alla povertà milioni di persone, sia nel sud del mondo che nell’Occidente, sfruttano gli operai sul posto di lavoro fino a renderli schiavi, di conseguenza sono i diretti responsabili delle morti bianche, un vero e proprio stillicidio. Seppelliscono nelle patrie galere tutti coloro i quali sono costretti a vivere ai margini di questa società opulenta. Combattono guerre siano esse umanitarie o di conquista poco importa, sterminando intere popolazioni, devastando interi paesi e saccheggiando le loro risorse. E l’elenco potrebbe continuare all’infinito. Contro tutto ciò è necessario lottare, è necessario porre una strenua opposizione alla dittatura capitalista. Per quanto mi riguarda è stato questo il senso delle mobilitazioni di lotta antimperialista e anticapitalista a Genova nel 2001, non tanto perché lo ritenei un evento politico unico nella vita degli sfruttati determinato dalla presenza dei padroni della terra, dai quali elemosinare qualche briciola caduta dai loro sontuosi banchetti; lo feci in continuità con un percorso politico già intrapreso, animato dalla forte esigenza di trasformare radicalmente un modello sociale fondato sulla sopraffazione. Lo stesso motivo che mi spinge tuttora a partecipare a momenti di lotta costruiti dal basso, situazioni meno spettacolari e che meno interessano alle telecamere del potere mediatico, ma sicuramente autentici. A Genova nel 2001 con molta determinazione è stato riaffermato un principio fondamentale, attraverso la riappropriazione di uno spazio urbano negato e reso inaccessibile dall’imponente presenza militare per impedire ogni forma di disapprovazione ai rappresentanti del dominio. Nessuna sentenza potrà riscrivere la storia di quei giorni. Carlo continuerà a vivere tutti i giorni nelle nostre lotte».

Marina Cugnaschi

Oltre a Marina il 15 luglio 2012 sono stati condannati Alberto Funaro, Ines Morasca, Francesco Puglisi e Vincenzo Vecchi. Per Ines la pena è sospesa perché ha un figlio piccolo, Alberto è in carcere, mentre Vincenzo e «Jimmy» sono spariti dalla circolazione. Prima di prendere il largo, anche Vincenzo ha voluto puntualizzare alcune cose in tribunale.

«In quanto anarchico ritengo i concetti borghesi di colpevolezza o innocenza totalmente privi di significato. Non cerco né scappatoie né giustificazioni. Mi sono sempre assunto le responsabilità e le eventuali conseguenze delle mie azioni. Sono onorato di aver partecipato da uomo libero all’azione radicale collettiva di mobilitazione contro il G8 senza nessuna struttura egemone al di sopra di me».

29 luglio

Settembre 1st, 2012 by acrata

«Oltre a vendicare gli altri, ho voluto vendicare me stesso».

Gaetano Bresci

 

Il 29 luglio 1900 Gaetano Bresci restituì al re Umberto I parte del piombo che questi aveva fatto riversare sulle masse affamate dei moti milanesi del maggio 1898. A comandare i cannoneggiamenti era stato Fiorenzo Bava-Beccaris, tronfio generale piemontese, che per l’eroica carneficina di un numero di dimostranti mai rivelato, ma che probabilmente si avvicinava ai trecento, venne insignito della Croce di grand’ufficiale dell’ordine militare di Savoia, «per rimeritare il servizio reso alle istituzioni e alla civiltà». Il «feroce monarchico Bava», com’era chiamato nelle canzoni, se la passò tutto sommato liscia: ottenne per nomina un seggio al senato, fece pubblicare le sue merdose memorie, appoggiò interventismo e fascismo, e morì nel suo letto a 93 anni. Ma non altrettanto bene andò al suo diretto superiore, il re, che cadde sotto le revolverate di un tessitore toscano dopo che era già scampato alle pugnalate di altri due anarchici – Giovanni Passannante, nel 1878, e Pietro Acciarito, nel 1897.

Gaetano Bresci, nato vicino a Prato nel 1869, già nel 1892 era stato condannato a 15 giorni di carcere per oltraggio e rifiuto di obbedienza alla forza pubblica. Schedato come «anarchico pericoloso», venne relegato nel 1895 al confino di Lampedusa, da cui fu amnistiato dopo la disfatta coloniale di Adua. Bresci emigrò quindi negli Stati Uniti, e precisamente a Paterson, nel New Jersey – la città della seta –, dove la comunità anarchica italiana era particolarmente vivace, numerosa, e divisa nel sostegno a due giornali contrapposti: «La Questione sociale», di tendenza organizzatrice e dal 1899 diretta da Errico Malatesta, e «L’Aurora», fondata da Giuseppe Ciancabilla, su posizioni antiorganizzatrici. Una sera del novembre 1899, durante una conferenza, Malatesta venne ferito a una gamba da un colpo di pistola sparato da un certo Passaglia, vicino, a quanto pare, al gruppo dell’«Aurora»; a disarmare l’attentatore fu lo stesso Bresci, che pure appariva fra i sottoscrittori del primo numero del giornale individualista. A ogni modo, dopo l’uccisione di Umberto I nessun anarchico, a parte i pavidi componenti di un gruppo romano, sconfessò il gesto di Bresci, e sia Ciancabilla che Malatesta furono a più riprese accusati di essere le menti che avevano armato la mano del regicida. Bresci durante il processo, e sotto le torture che l’avevano preceduto, non ammise mai l’esistenza di alcun complice.

L’opuscolo che qui riproponiamo fu pubblicato nel 1903 dall’«Aurora»-Club di Paterson, e in pochi mesi ne andarono esaurite tre edizioni. A quel punto Ciancabilla si era già dovuto allontanare da Paterson causa repressione poliziesca, ma in città erano comunque rimasti i suoi compagni. In questa ristampa abbiamo mantenuto immutate le dimensioni del libretto (incluso il corpo dei caratteri, minuscolo e di non molto agevole lettura), ma migliorato la carta, che nell’originale, per ragioni di economia, era leggerissima. L’opuscolo su cui abbiamo basato la nostra riproduzione è stato trovato fra le carte dell’anarchico individualista e editore Giuseppe Monanni (1887-1952), che visitò Paterson e la costa est degli Stati Uniti nel 1912.

La reazione dell’opinione pubblica borghese al regicidio fu particolarmente accesa; erano gli stessi «moderati», del resto, che avevano gridato ai soldati di Bava-Beccaris, da dietro le persiane, di «tirare diritto, colpire giusto». Filippo Turati, fondatore del Partito socialista, inizialmente indicato da Bresci come suo difensore, ebbe paura delle conseguenze politiche e rinunciò alla difesa, che venne assunta da Saverio Merlino – un rispettabile avvocato socialista che fino a qualche anno prima era stato fra i più ricercati malfattori anarchici. Gli atti del processo, conclusosi con la condanna all’ergastolo, si dovrebbero oggi trovare presso l’Archivio di Stato di Milano, ma non ci sono – scomparsi nel nulla.

E sono scomparsi anche gli atti relativi alla detenzione di Gaetano Bresci nel carcere di Santo Stefano, dove, secondo la versione ufficiale, si sarebbe suicidato il 22 maggio 1901. In realtà fu un omicidio di Stato, e omicidi di Stato lo sono di fatto tutte le morti nelle galere: è stato quindi automatico decidere di destinare tutti i proventi della vendita a prezzo libero di questo opuscolo alla Cassa anarchica di solidarietà anticarceraria (via dei Messapi 51, 04100 Latina; agitazione@hotmail.com).

Un ultimo pensiero, prima di chiudere, va ai cinque compagni condannati in questo luglio 2012 per la rivolta di Genova di undici anni fa. Alcuni di questi compagni hanno preso il largo, e speriamo che procedano sempre più lontano, col vento in poppa, ma Marina, che in molti avranno conosciuto, è rinchiusa nel carcere di San Vittore. Per chiunque volesse scrivergli, il suo attuale e indesiderato indirizzo è: Marina Cugnaschi, c/o Casa circondariale San Vittore, Piazza Filangieri, 2 – 20123,  Milano.

luglio 2012

[nota introduttiva alla ristampa dell’opuscolo La difesa di Gaetano Bresci alla corte d’assise di Milano («Aurora»-Club, Paterson, New Jersey, 1903), diffuso la sera del 29 luglio 2012 presso il Circolo dei Malfattori (via Torricelli, 19 – Milano)]